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domenica 28 gennaio 2018

Monte Lareseit da Tramonti di Sotto.

 
Monte Lareseit da Tramonti di Sotto.

Racconto:

Cima Lasereit, una giornata avventurosa tra amici.

La cima dell’escursione che descrivo, nasce come le ultime, dallo spirito di ricerca che anima la mia curiosità. Con Roberto (compagno di ventura) condividiamo la stessa passione, egli sa che quando c’è da fare qualcosa di tosto lo chiamo, ben consapevole che ci sarà da divertirsi. Il nome Lasereit suona nuovo a entrambi, in passato ho percorso alcuni sentieri nella zona con la sottosezione CAI di Tramonti, adoperandomi nella manutenzione, compreso il sentiero che porta al borgo fantasma di Palcoda.

Dopo due lustri ripercorro questo sentiero, confesso che non ricordo più il tracciato, quindi proverò le medesime emozioni di Roberto.

Arriviamo alle prime ore del mattino nella frazione di Tramonti di Sotto, la brina ricopre i prati, troviamo posteggio nello spiazzo antistante i ruderi della stalla di Casera Comesta.

Da mesi con Roberto non si usciva insieme, una volta approntati per l’escursione si parte, nel primo tratto (strada forestale) durante il riscaldamento ci confessiamo i malanni dell’ultimo periodo e commentiamo le reciproche esperienze in montagna. 

Al primo bivio dopo aver guadato il torrente Tarcenò prendiamo per il sentiero a sinistra (831A) segnato con cartelli, tralasciando il sentiero 832 che va dritto al borgo di Tamar. La traccia è ben segnata e marcata, ripercorre i resti di un vecchio troi. Durante il tragitto veniamo attratti dalle pareti meridionali del monte Brusò, con la mente e con lo spirito vorremmo risalirlo dal selvaggio versante, immaginando ipotetiche vie da camosci. Lungo il sentiero incontriamo le prime anemoni, fiori deliziosi che ci illudono che la stagione del gelo sia finita.

Raggiunta una anonima forcella, da essa avvistiamo il lontano borgo di Palcoda, intuiamo che dobbiamo perdere vistosamente quota per poi risalire. Il piccolo borgo è l’obiettivo minimo della giornata, Roberto non lo ha mia visitato, il resto lo aggiungeremo strada facendo se le condizioni fisiche e meteo ce lo permetteranno.

Raggiunto il greto del Ru di Palcoda seguiamo le indicazioni per il borgo omonimo, risalendo l’affascinante sentiero sulla destra orografica.

I nostri spiriti si illuminano di stupende immagini, percorriamo un tempo perduto, sentiamo la presenza e la fatica dell’uomo di montagna, i ruderi degli stavoli si animano al nostro passaggio. Ammiro l’amico sostare in religioso silenzio davanti a un capitello votivo, le parole in questi frangenti sono banali.

 Guadiamo il rio passando sull’altra sponda per risalire con piccoli balzi fino a incrociare un torrentello con una piccola cascata, a pochi metri ci aspetta il borgo di Palcoda con la sua bella e luminosa chiesetta tinta di bianco.

Tra i rami spogli intravediamo i ruderi, ci avviciniamo, odo un “ce biel” accompagnato dallo stupore del mio amico. Effettivamente non ricordavo il luogo così bello, hanno restaurato per bene la chiesetta e costruito una baita adibendola a rifugio che successivamente visiteremo. Ricordo di una campana da suonare, invito Roberto a cercarne la corda dietro il campanile, la trova all’interno di una cella che sta alla base della torre campanaria.

Con il teleobiettivo della reflex filmo le campane che Roberto con sorprendente dote suona con diletto, tale da fare invidia a quelle di San Pietro in Roma. Lo stesso Roberto di seguito, dopo la scampanata balza fuori dall’edificio sacro, tutto brioso. Sorrido, in montagna azzeriamo gli anni, diventiamo monelli e curiosi come ragazzini. Cosa potremmo chiedere di più alla vita? 

Visitiamo il confortevole bivacco, consumiamo una barretta di cioccolato e ci approntiamo per la seconda meta di oggi” la Forchia de Agardaia”. Il sentiero ci invita a passare in mezzo alle rovine del borgo, è un autentico passaggio onirico, tra ruderi che sanno ancora di vita.

Il borgo fantasma sembra gridare aiuto, vuole anch’esso rinascere come la chiesetta, veder nascere bimbi e morire vecchi, sentire il latrare dei cani e il miagolio dei gatti che litigano per il territorio. Veder fiorire amori che si consumano sotto cieli stellati e ascoltare storie che vecchie non sono mai state.

Ammiriamo gli archi di diverse forge e gli architravi che ci portano indietro nella storia dell’uomo, essi resistono stoicamente al tempo, speranzosi di rivivere vecchi splendori.

Guardo l’amico, ci fissiamo, avremmo voglia, cazzuola alla mano, di dare un inizio a questa rinascita; le vecchie mura avvertono questo nostro sentimento, lasciandoci passare senza timore e donandoci il riflesso della luce.

Attraversato il Borgo, ci voltiamo indietro, esso è svanito tra le ramaglie, come se avessimo vissuto un sogno.

 Risaliamo il vecchio troi, a volte interrotto, fino a sfiorare altri stavoli e una remota fornace. Non siamo soli in questo viaggio, i fantasmi di chi ha laboriosamente costruito e vissuto questi luoghi ci guidano fino alla sella.

Poco sotto la forcella assistiamo all’ecatombe di alcuni faggi per opera di funghi parassiti, triste metafora della vita… Essi come i ponti temono di più il piccolo incedere di un essere che la potenza dei giganti.

Con fatica raggiungiamo la forcella, studiamo l’evoluzione dell’escursione sulla mappa. A sinistra della forchia il lungo e tortuoso cammino, non segnato, e vista l’ora non ci permette di raggiungere la cima del monte Brusò, rinviamo l’impresa all’estate.

A destra una lieve traccia ci porta alla cresta della cima Lareseit (sentiero per esperti è scritto su una tabella), non è tracciata sulla mappa, ma ben segnata sugli alberi. Senza timori e remore e armati di buona volontà decidiamo di continuare l’avventura scegliendo la seconda soluzione. Zaini in spalle, riprendiamo il cammino percorrendo l’esile traccia di cresta, che nel primo tratto è ben marcata e ampia. Dal versante occidentale ammiriamo le cime circostanti ricoperte di neve. Sempre seguendo i radi segni raggiungiamo la cima del Lasereit, totalmente ricoperta di faggi, tranne un fazzoletto di prato a meridione che ci dona uno squarcio visivo sulla pianura friulana e le alture che la precedono.

Lasciamo gli zaini a terra, ci godiamo il sole, incuriositi, volteggiamo alla ricerca di qualcosa. Roberto si spinge oltre la cima, avvertendomi che il sentiero prosegue a oriente, do un’occhiata, mi viene un’idea. lo invito a proseguire sulla cima più alta che dista alcune centinaia di metri, ma senza zaini, in totale libertà. Il ragazzo che alberga in Roberto acconsente con entusiasmo e così ci lanciamo nell’ennesima avventura.

Scendiamo di quota di alcune decine di metri per poi risalirne all’incirca 90. Una bella sfacchinata, ma noi no, non si molla. Lungo il ripido pendio di salita calpestiamo neve dura, scopriamo a cosa era dovuta l’iscrizione sulla tabella ”Sentiero per Esperti”, le scivolate in questo tratto ripidissimo ed esposte non sono ammesse, faremmo un volo alla Icaro di centinaia di metri.

Osservare la figura dell’amico che cavalca la crestina inerbita di giallo è meraviglioso, in esso rifletto la mia immagine, siamo liberi, voliamo, ecco da cosa scaturisce questo senso di euforia che pervade l’animo. Raggiunta la massima elevazione (1205 m.) constatiamo che se non fosse invaso dalla la vegetazione sarebbe stato un ottimo pulpito panoramico, mi ingegno con un cavalletto di fortuna (rametto di faggio) per la reflex, autoscatto ricordo e via, si rientra agli zaini, la fame comincia a bussare.

Raggiunti gli zaini ci concediamo al baccanale, e non è un eufemismo. Roberto estrae dalla dispensa del suo zaino il cabernet, che non posso e non voglio assolutamente rifiutare, ben cosciente che guida lui al ritorno.

Tra panini, frutta e il sacro nettare degli Dei, passa la mezzoretta dedicata a Dionisio, sdraiati sulla calda erba scaldata dal sole.  Osservo divertito che i calzini di Roberto hanno gli stessi magici colori della mia sciarpa, il nerazzurro si rivela il nostro colore portafortuna.

Sicuramente inebriato dal vino, rivolgo a Roberto un pensiero e gli domando: <<Sai cosa ci vorrebbe in questo momento dopo aver pranzato?>>Roberto mi risponde :<<Il caffè!>> <<Anche!>> Esclamo, ma io avevo pensato a una bella pennichella.

La triste ora è giunta, si rientra, ammirando per l’ennesima volta le lontane cime imbiancate, riprendiamo il cammino. Con facilità, chiacchierando e alternandoci nella guida, percorriamo il sentiero del ritorno e in poco tempo siamo a Palcoda e successivamente alla forcella anonima, dove riflettiamo se procedere per il borgo Tamar o rientrare a valle.

Vista la tarda ora scegliamo di rientrare, incontrando lungo il sentiero di discesa una giocane coppia di escursionisti. Breve scambio verbale e riprendiamo il cammino fino a raggiungere l’auto. Osservando i dati del dislivello sul GPS mi da più di 1300 metri, stimo che i dati reali saranno sopra i 1200 metri, ottimo allenamento per prepararci per le prossime avventure.

Siamo soddisfattissimi, raggiunta l’auto e una volta approntatici non rimane che partire e raggiungere il più vicino bar-caffè per chiudere in bellezza la giornata.

Nella val Tramontina non troviamo nulla, tutto chiuso, ci fermiamo a Meduno, nel localino di fronte la piazza. Durante la consumazione della bevanda, osservo la gestrice e noto che nel locale c’è una cospicua presenza femminile. Rifletto che anche il gruppo teatrale di Meduno ha una forte presenza femminile. Conversando con la gestrice le confido questa mia deduzione.  Sarà un pensiero capriccioso e curioso, ma ho sempre immaginato le donne di Meduno e della Val Tramontina, forti, decise, e forse un po’ selvagge nella definizione più nobile del termine, come le montagne che ci circondano.

Con un sorriso, Roberto e io lasciamo il locale, salutando la simpatica signora. Si rientra a valle, un forte abbraccio sigilla l’amicizia con l’amico di tante avventure.

Il Forestiero Nomade.

Malfa.

 
Note tecniche.

Localizzazione: Prealpi Carniche.


Località di Partenza: Tramonti di Sotto- Casera Comesta.

Dislivello: 829 m.

 Dislivello complessivo: 1280 m.

Distanza percorsa in Km: 16 chilometri.

Quota minima partenza: 376 m.

Quota massima raggiunta: 1205 m.

Tempi di percorrenza. 6 ore escludendo le soste.

In: Coppia

 Tipologia Escursione: storico-ambientale.

Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionisti Esperti

Segnavia: CAI 831, 831A.

Attrezzature: No.

Croce di vetta: No.

Libro di vetta: No.

Timbro di vetta: No.

Riferimenti:

1)                  Cartografici: Tabacco 012, IGM Friuli 1:25000

2)                  Bibliografici:

3)                  Internet:

Periodo consigliato: Tutto l’anno.

Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero: Ben segnato e battuto.

Fonti d’acqua: Molteplici lungo il sentiero.

Consigliati:

Data 24 gennaio 2018.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa