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mercoledì 27 aprile 2016

Monte Palavierte 1785 metri.

 
Monte Palavierte 1785 m.

Note tecniche.

Localizzazione: Alpi Orientali - Alpi Carniche - Gruppo Sernio Grauzaria

Avvicinamento: Tolmezzo-Illegio- Rotabile per Pra di Lunge

Punto di Partenza: Pra di Lunge (Spiazzo con cartello CAI) Quota 918 m.

Dislivello complessivo: 876 m.

Distanza percorsa in Km: 9 km.

Quota minima partenza:918 m.

Quota massima raggiunta: 1785 m.

Tempo percorrenza: 2,45 h in salita; 2 h in discesa.

Difficoltà: E.E.

Segnavia: CAI 412.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Attrezzature: Nessuna.

Cartografia consigliata.

Periodo consigliato: dalla primavera all’autunno.

Condizioni del sentiero: Ben marcato e segnato.

Condizioni Meteo: Ottime

Data: 25 aprile 2016.

Il vostro “Forestiero Nomade”.

Malfa.

 
Relazione: 

Cima, voglia matta di cima, di fatica, di solitudine, di infinito, di silenzio, di selvaggio, di fare pace con Dio, e di sentirmi un tutt’uno con l’universo. Forse il meteo dà una tregua per il 25 aprile, ho delle mete in mente, tra quelle che mi attrae di più è il monte Palavierte, per il suo aspetto selvatico.  Da una settimana ho preparato lo zaino, aspettando il giorno dell’escursione.

Lunedì mattina sveglia presto come sempre, uno sguardo fuori dalla finestra, il cielo è libero da nuvole. Il giorno prima ha nevicato, rendendo incerta la meta che avevo prefissato, per questo nella dotazione dello zaino aggiungo la piccozza e i ramponi. Solito tragitto fino a Tolmezzo, ammirando l’Amariana imbiancata, questo non mi mette ottimismo, mi accorgo di aver dimenticato la mappa della meta sullo scanner. Niente di grave, ho una tabacco in scala 1:100:000 con i sentieri CAI regionali sempre in auto; e nel GPS ho caricato la cartografia aggiornata della sentieristica italiana. Arrivato a Tolmezzo, girovago un po’ a causa dell’interruzione della strada che porta a Illegio, con un po’ di peripezie trovo la strada. Percorrendo la rotabile mi inoltro nella piccola valle dominata dal monte Strabut e dall’Amariana, fino a raggiungere l’ampia distesa prativa di “Pra de Lat”. Splendida visione sui monti occidentali, mi fermo, scendo dall’auto ammirando questo paradiso. Ripreso il cammino supero il piccolo borgo di Illegio, seguendo la rotabile un po’ dissestata che mi porta dopo una serie di tornanti nella località di Pra di Lunge. Sulla destra della rotabile lascio l’auto in uno spiazzo (cartello con indicazioni CAI per la cima) quota 910 m. Calzati gli scarponi e le ghette, zaino in spalle si parte, con Magritte (fedele compagno) al seguito. Il primo tratto di sentiero è un ampia carrareccia che si inoltra nel bosco di faggio. Dopo una serie di tornanti la traccia assume la forma di un sentiero ben marcato che con moderata pendenza, risale il fianco occidentale del monte Palavierte, guadagnando in breve la forcella “Cuei di Fur” (quota 1196 m) materializzata dai resti di una baracca in legno. Il sentiero aggira il costone fino a raggiungere le rocce di un magico sito. Enormi macigni posti come sentinelle a un mondo ultraterreno. La sensazione è strana, magica, sto sognando. Sono inebriato e beatificato, illuminato dai raggi del sole che filtrano tra i giganti di pietra, come un metafisico trapasso. Superati i macigni mi appare un mondo nuovo, surreale. Un paesaggio invernale, la magia del luogo, mi ritrovo improvvisamente in pieno inverno. I raggi solari scaldano, sciolgono la neve. Piove! Ma il cielo è limpido e azzurro, folate di lieve vento spruzzano i fiocchi bianchi, sto sognando ad occhi aperti. L’azzurro contrasta con il bianco, le dolomitiche guglie aggiungono magia al paesaggio. Il sentiero anche se ben marcato è ricoperto da morbida neve, l’esile traccia solca la valle. Il passo è sicuro, risalgo l’erto pendio portandomi sotto le rocce, e di tanto in tanto, mi fermo incantato a guardare le meraviglie del paesaggio, non sento fatica, sono affamato di bellezza, insaziabile, riempio gli occhi e il cuore, sto bene! Divinamente bene. Raggiunti i bastioni meridionali del Palavierte, un cartello spartano mi indica che le direzioni da seguire sono due: a sinistra per il monte Palavierte, a destra per il Cuel Maron, altra bella cima che domina il paesaggio. Proseguo a sinistra risalendo un piccolo canalino roccioso, rasentando la parete, e successivamente raggiungo la forcella invasa da mughi. La cima è molto vicina, alla mia sinistra, ma mi aspetta una sorpresa non gradita: cinquanta metri di nevaio quasi verticale e molto esposto, che mi separano dalla cresta del monte. Senza perdermi d’animo, estraggo dallo zaino la picca, e aiutandomi con i mughi risalgo il bordo del nevaio, fino a raggiungere il suo culmine, dove ritrovo il sentiero. Le ultime zolle d’erba e sono in cresta. Una piccola cima (quella più alta) mi separa dalla cima più bassa. La raggiungo tramite un’esile ed esposta crestina. Momento magico, adagio a terra lo zaino, accanto alla croce, mi guardo intorno. Il silenzio mi avvolge, violato a volte da raffiche di vento, circondato dal mondo intero, attimi che ti fanno percepire la grandezza dell’universo e la pochezza dell’essere umano. Solitamente per le escursioni parto con ottimi propositi, sereno, i problemi eventualmente ce ne fossero, li lascio a valle.

La montagna mi dà energia positiva, beatitudine. Se il mattino, prima di salire sono felice, al ritorno sono in estasi. Saluto tutto ciò che si muove, e conservo questa energia il più a lungo possibile, ricordando che sono un uomo: non una matricola, un mestiere, un sostantivo, o altro. Sono un uomo immerso in quell’immensità che qualcuno chiama Dio, “la Montagna”. Ripresomi dall’emozione, dopo aver firmato il libro di vetta e aver effettuato delle foto, mi appresto per il ritorno. Calzo i ramponi, per avere più “grip” nella discesa. Superato l’ostacolo maggiore (il nevaio) effettuo una breve pausa per ricaricare le energie, mi fermo sotto la cresta, in una piccola zolla d’erba. Mi rilasso, lasciandomi baciare dal sole primaverile, che scalda, sciogliendo rapidamente la neve. Sazio il mio compagno, io non ho fame, l’adrenalina e l’autostima prodotta dalla conquista della cima ha saziato la mia fame. Ripreso il cammino una piacevole sorpresa mi attende, il sole ha sciolto quasi del tutto la neve lungo il sentiero. Che strana sensazione, come se avessi vissuto in due mondi paralleli, l’essenza della mia vita, un esistenza da funambolo. Ora mi ritrovo in primavera, i colori sono brillanti. Ripasso dai grandi macigni come se ritornassi da un'altra dimensione, in lontananza la bella Amariana mi sorride, “Dea dolomitica amata e desiderata tante volte”. Rientro nel bosco di faggio, percorrendo a ritroso il sentiero dell’andata. La mente vaga negli ultimi pensieri liberi del mondo incantato. Penso alle qualità che dovrebbe avere un escursionista per poter godere dei favori della montagna. La prima qualità è sicuramente l’orientamento: indispensabile, senza di esso sei schiavo di qualcosa o di qualcuno; non essere liberi in montagna non va bene. La seconda qualità è il rispetto verso tutto ciò che ti circonda: raccogliere le carte di caramelle abbandonate, spostare i rami secchi al di fuori del sentiero, dare la precedenza a chi sale, ascoltare la “voce” della montagna. La terza e non meno indispensabile è la sincerità, verso noi stessi e verso gli altri. Se non si possiedono queste qualità, diventa futile scrivere belle parole o vantarti. Dopo le riflessioni “post cima”, raggiungevo l’auto e vista l’ora che non era tarda, mi concedevo un pausa contemplativa e fotografica, ammirando la bellezza che mi circondava. Rientrando, lungo la strada, ammiravo “L’Amariana”, la bella Dea che oggi mi ha accompagnato durante l’escursione.

Il vostro “Forestiero Nomade”.

Malfa.

 
















































giovedì 21 aprile 2016

Anello Monte Cuzzer dalla Val Resia



Anello del Monte Cuzzer.

Note tecniche.

Localizzazione: Val Resia / Prealpi Giulie.

Avvicinamento: Gemona- Resiutta- Val Resia-San Giorgio-Biforcazione località Tigo-Sostare l’auto presso un ponticello sul Torrente Resia.

Punto di Partenza: Ponticello sul Torrente Resia 350 m.

Dislivello complessivo: 1200 m.

Distanza percorsa in Km: 14,5.

Quota minima partenza: 350 m.

Quota massima raggiunta: 1462 m.

Difficoltà: Escursionisti esperti.

Segnavia: CAI 707, 703.

Fonti d’acqua: Si.

Attrezzature: Cavi passamano (in cattivo stato)

Cartografia consigliata. Tabacco 020.

Periodo consigliato: da aprile a ottobre.

Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato

Data: 16 aprile 2016

Il vostro “Forestiero Nomade”.

Malfa.

 
Sono passate tre settimane dal tentativo sul monte Cuzzer, il pensiero è rimasto fisso sull’immaginaria cresta, sperando in un esito positivo mi appresto ad un altro tentativo.

La mappa è la stessa, l’itinerario lo deciderò all’ultimo, non ho preparato nessun piano B, voglio il Cuzzer e il Cuzzer sarà.

Arriva il sabato mattino, il meteo è variabile, ma non mette pioggia, approntato il materiale si parte in direzione Gemona. La strada che da Lestans porta a Gemona è una delle direttrici che percorro spesso per andare in montagna. Dopo la frazione di Pinzano supero il Tagliamento sul famoso ponte storico, ed è un bel vedere: le acque azzurre, le bianche ghiaie e i monti in lontananza. Attraverso in sequenza una serie di piccoli borghi, ammirando il sole nascente e i suo raggi che illuminano la bellissima cittadina di San Daniele, Osoppo e in lontananza le Prealpi Giulie, dominate dall’inconfondibile mole del Chiampon. Sogno ad occhi aperti, saluto tutte le cime, è uno spettacolo, un caleidoscopio di ricordi. Chiampon, Brancot, San Simeone, Amariana, Plauris, Pisimoni e Zuc dal Bor, solo per citarne alcune, vecchie conquiste, ricordi ancora vivi. Magritte è silenzioso, chissà cosa pensa il mio compagno di viaggio! In settimana andando a ritroso nell’album dei ricordi e segnando le escursioni in sua compagnia, ho fatto la piacevole scoperta che ha raggiunto le 94 cime come prime, e con alcune ripetute ha superato le 150. Eroico il mio lupetto, commovente, il mio inseparabile amico, tanti sogni ed emozioni condivise. Per entrambi la montagna è libertà, sentiamo il suo richiamo, è più forte di qualsiasi altra emozione, impossibile spiegarla questa sensazione se non la si sente. Giungiamo nella Val Resia nelle prime ore del mattino, nel cielo azzurro si alternano nuvole bianche, fino a nascondersi dietro le cime dei monti più alti. Le prime immagini non sono incoraggianti, sui versanti settentrionali persiste ancora molta neve. Mi spingo oltre la località di Tigo, risalendo la rotabile che si addentra nella valle di Uccea, per osservare il monte Cuzzer sul versante meridionale. La visione mi conforta, la neve persiste solo a sprazzi sulla cresta, il dado è tratto, si va in cima. Trovato parcheggio poco dopo il ponticello in località Tigo, indosso subito le ghette, zaino in spalle e Magritte al seguito si parte. Superata la simpatica passerella sul torrente Resia, si gira a sinistra seguendo le indicazioni per la località “Case Gost” sentiero CAI 707. Il piccolo sentiero perde quota rasentando il letto del torrente e dopo aver superato una colata detritica comincia a guadagnare quota dentro il boschetto fino a raggiungere la piccola località di Gost. Una fontanella è posta ai margini della carrareccia che percorrerò solo per poche centinaia di metri. Una panchina in legno e un piccolo spiazzo inerbito sono l’inizio del sentiero che mi porterà sul Cuzzer. Abbandonata la carrareccia comincia il tratto faticoso. Dopo aver superato un piccolo impluvio inizia il sentiero dedicato all’alpinista e finanziere “Claudio Vogric” dal gruppo “I Ghiri di Resia” (Targa commemorativa posta su un grande masso). La pendenza è da subito sostenuta, non dà tregua. Si risale il ripido pendio boschivo con un interminabile serie di tornanti. Breve sosta panoramica sulla piccola forcella, lo sguardo vola alla catena montuosa dominata dal Zuc del Bor. Ripreso il cammino risalgo il ripido spallone raggiungendo il sito che tre settimane fa mi bloccò. Ora è sgombro da neve, osservandolo il tratto esposto mi rendo conto che la scelta di rientrare fu azzeccata. Un’esile cengia supera due volte lo stesso impluvio (attrezzato con cavi malandati) e la stessa aggirando il costone sempre molto esposta risale fino alla faggeta (altri cavi passamano). Il sole illumina il sentiero, che con piccole svolte solca la ripida faggeta fino ad arrivare sulla cresta. Mi accoglie un paesaggio dissestato, alberi brulli, molti schianti, seguo le rade tracce risalendo la cresta boschiva. Dopo alcune centinaia di metri compare la prima neve, la sua visione non mi è gradita. Il cammino diventa più complicato, seguo i segni sugli alberi o sui massi, risalendo sul versante occidentale il lungo crestone che prende il nome di “Scarbina Grande”. Di tanto in tanto in lontananza affiora tra la vegetazione la vetta del Cuzzer. Giunto poco sotto la cima, vengo tratto in inganno da un traverso su un ampio nevaio, dopo averlo superato con qualche patema perdo le tracce.  Conquisto una crestina aiutandomi con i mughi, e scopro di aver la vetta del Cuzzer alle spalle. Ritorno indietro sulle mie orme, mi fermo all’ultimo segno CAI e osservo intorno. Ecco sopra un ripido ed esposto nevaio scorgo un segno biancorosso. La neve ha sepolto l’erto sentiero, devo assolutamente risalirlo. A colpi di scarponi scavo degli incavi sulla parete verticale fino a guadagnare il vertice del nevaio. L’adrenalina è costante, risalendo l’intero camminamento innevato arrivo sotto la cupoletta settentrionale del Cuzzer. Ad essa mi collega un’esile cengia esposta d’ambo i lati sui vertiginosi versanti. Il suo aspetto verticale m’incute timore, il sentiero è completamente sepolto dalla neve. Sfrutto i radi mughi e qualche spigolo roccioso per arrampicarmi sulla parete esposta a settentrione, evitando il piano verticale, una scivolata sarebbe fatale. L’idea anche se ardita si rivela la più sicura e vincente, raggiungo con il batticuore la cresta sommitale, percorrendo gli ultimi tratti di sentiero che mi separano dall’enorme croce in ferro. Mi fermo per una meritata pausa, scarico la tensione. Arrivano folate di vento, mi copro a dovere, scattando molteplici foto, compresa la rituale di vetta. Il paesaggio è stupefacente. A meridione il versante settentrionale della catena dei Musi. Le riconosco tutte le cime, dal Cadin allo Zaiavor, tanti ricordi ed emozioni avvolgono la mia mente. A oriente osservo il Canin avvolto dalle nuvole, parzialmente innevato. Il cielo si va oscurando, mi affretto per la ripartenza, la complessa cresta del Cuzzer mi aspetta. Scendo dalla cima principale percorrendo il sentiero sul versante meridionale, percorso agevole malgrado l’esposizione a sud. Aggiro una cima intermedia fino a raggiungere l’antecima. Qui trovo un passaggio di primo grado con cavo. Sorrido, osservando che il tratto descritto come il più rischioso da molte relazioni, alla fine si rivela il più facile. Superato quest’ultimo sembrava che le fatiche fossero finite, invece una cattiva sorpresa mi aspettava dietro l’angolo. Un muro di neve insormontabile che rasentava il ciglio della cengia, lasciando solo un paio di centimetri, per poi confluire in un grande nevaio esposto a nord e ripidissimo. Un attimo di panico, mi fermo a riflettere, indietro non torno di sicuro, mi studio l’ostacolo. Penso dapprima di calzare i ramponi, tirare fuori la picca e continuare di traverso, ma riflettendoci la neve fradicia non reggerebbe una mia caduta, allora passo al piano B. Risalgo il muro di neve, aiutandomi con i mughi usati come corde, camminando sopra il muro di neve, sfruttando gli spazi vuoti tra la roccia e la neve. L’idea benché ardita, funziona! Avanzo per un centinaio di metri sul nevaio, fino a intravedere il catino, esposto sì, ma meno pericoloso. E Magritte? Era rimasto indietro, inforcando occhiali da sole, si godeva il paesaggio, un mio fischio perentorio lo ha ricondotto al suo ruolo di fedele paggio indivisibile.  Estraggo per un attimo i guanti, mi studio il successivo percorso. Una dolce voce mi chiama: << Ciao Malfa, bentornato, come stai? vedo che sei caparbio, non molli, bello quel paio di guanti, me lo regali?>> Un po’ nervosetto, ma poi con un sorrisetto le rispondo. <<Buongiorno, signora montagna, sto bene. Come ha visto, non mi sono arreso, ma si diverte così tanto a crearmi ostacoli? Sa bene che trovo il lato positivo in tutto, anche in questa esperienza. Non mollo, mi conosce bene, come cantava John Lennon” non ci sono problemi, ma soluzioni”, quindi proseguo. I guanti? Mah, oggi non li meriterebbe, ma come si fa a dire di no ad una bella signora, capricciosa, ma sempre bella. Dopo i due lupetti, le dono questo paio di guanti. Ora mi devo congedare da lei, il meteo tende ad un peggioramento, il tempo stringe, un caro saluto. >> Cosi dicendo mi congedai dalla montagna, affrontando il catino innevato e raggiugendo la cupoletta sommitale dell’antecima. Breve sosta, ripresomi dallo stress, mi gusto il paesaggio. Il mio caro amico riposa un attimo, dormendo sopra una piazzola d’erba. Stanco, ma beato, chissà se ha sentito la voce della montagna. Breve ma salutare sosta ad ammirare il paesaggio da un altro punto di vista, riprendo lo zaino per affrontare la seconda parte dell’escursione. Una lieve traccia scende a meridione tra il bosco di faggi raggiungendo la forca di Tasacuzzer, materializzata da cartelli divelti, con indicazioni CAI. La mia meta è a oriente, seguendo il sentiero 707 con indicazioni per il borgo Lischiazze. Dalla forca mi calo nel canalone, un ripido sentiero che nel primo tratto percorre il letto innevato di un impluvio, e successivamente perdendo quota guadagna la base di un costone. Ambiente selvaggio, unico. Di fronte a me le verticali pareti settentrionali dei Musi sono sempre più vicine. Un’esile cengia percorre parallelamente le dirupati pareti meridionali del Cuzzer, attraversando un tratto macerato, per poi entrare nel bosco. Ora il sentiero è più comodo, adombrato dalle foglie dei faggi, scende il meno ripido versante, innestandosi sul sentiero proveniente da destra con numerazione 703. I colori del bosco sono intensi, la traccia è ben marcata, in breve dopo aver superato un tratto di vegetazione con affioramenti carsici, guado un torrente secco, ritrovandomi sulla vecchia carrareccia che si innesta dopo poche centinaia di metri sulla rotabile che dalla val Resia porta alla Valle dell’Uccea. Mi fermo spesso ad ammirare le cime, ammiro il piccolo borgo di Lischiazze. Un abbaiare di cani e lo sguardo di alcuni vallegiani segna il tempo del nostro passaggio. Le fatiche sono quasi finite, penso che non abbiamo pranzato. Deviando per la diramazione dopo pochi saliscendi raggiungiamo il borgo di “Case Gost”, una panchina ci invita a sostare. Mi fermo, il mio compagno è esausto, ci sediamo sulla panca, estraggo fuori dallo zaino i viveri. Faccio mangiare prima il lupacchiotto. Penso: << Ho fatto tutto questo giro soltanto con un fico secco nello stomaco, Magritte nemmeno quello.>> Breve pausa, rifocillati, si riprende il cammino per l’ultimo quarto d’ora che ci separa dall’auto. Nel frattempo incrociamo un anziano boscaiolo, intento a spaccare legna. Lo saluto, ricambia. Mi riconosce, era quello di alcune settimane fa, mi chiede se ho raggiunto la cima! Gli rispondo di sì e che l’escursione meritava. Gli chiedo quanti anni ha. Mi risponde:  << Quanti me ne da?>> Provo a indovinare, e sparo 85 anni, sperando di compiacerlo. Non l’avessi mai detto! Il Suo volto si contorce in una smorfia di delusione, mi risponde che ne ha solo 70, mentre l’ascia che impugna rotea pericolosamente nella mia direzione. Mi congedavo dal non “tanto anziano” boscaiolo, sperando che dimenticasse in fretta la mia gaffe. Questo mi serva da lezione.  Come con le donne, spesso per compiacerle, convien sparare cazzate ed essere adulatori nell’abbassare gli anni, più tosto che rischiare la vita con la cruda sincerità. Percorrevo gli ultimi metri di sentiero, attraversando il ponticello sul torrente Resia da vincitore. Come gli antichi Romani, immaginavo che esso fosse un arco di trionfo, sentivo le trombe dell’Aida squillare, dimenticando presto la delusione della precedente escursione.
Il vostro “Forestiero Nomade”
Malfa.